mercoledì 24 dicembre 2008

AUGURONI










Il circolo del Partito Democratrico di Palagianello augura a tutti un buon Natale ed un felice anno nuono.

ANNO ZERO


Otto mesi di governo e una sequenza di errori da matita blu e rossa da far paura. È il bilancio dei ministri del governo ombra sul 2008 del governo Berlusconi. Dalla social card, dal Lodo Alfano fino alla riforma scolastica, ai tagli alle forze di polizia e alla difesa dei beni culturali la lista è lunga e nelle ultime settimane si è arrivati all’aumento del prelievo dalle tasche dei cittadini che passa per l’abolizione degli sgravi del 55% sulle ristrutturazioni. Partitodemocratico.it e YouDem Tv hanno chiesto al governo ombra un giudizio sull’operato del governo di destra e le loro proposte alternative.

Matteo Colaninno (Sviluppo economico)

Il decreto salva crisi è sbagliato. Non è la social card che rimette in moto l’economia. Berlusconi è come il venditore di almanacchi di Leopardi che diceva ‘il prossimo anno sarà migliore’. Vanno aiutate le famiglie, i precari, i giovani in cerca di lavoro estendendo a loro gli ammortizzatori sociali per coniugare flessibilità e sicurezza.

Ermete Realacci (Ambiente)

La Prestigiacomo si è dedicata ad essere scettica verso la scommessa sul futuro: i mutamenti climatici e la questione energetica sono un punto dimenticato nell’agenda del governo, invece che una delle scommesse più importanti per l’Europa. Lasciamo stare le fesserie, il PD segna un punto sugli sgravi fiscali del 55% degli ecoincentivi con il ritiro della loro retroattività ma nel 2009 dovranno ripristinarli per noi è una priorità. Il nord Europa ha case che consumano la metà delle nostre, questo è un governo di alieni rispetto alle esigenze degli italiani!

Barbara Magnolfi (PA e innovazione)

Il governo attacca i dipendenti pubblici ma non fa nulla per migliorare i difetti della pubblica amministrazione. Il PD vuole più semplificazione invece Calderoli ha tagliato solo decreti ormai inutili: sulla pietra pomice ad esempio! Ma non fa ciò che serve.Dicono di tagliare gli enti inutili poi fanno un decreto per evitare la soppressione degli enti chiusi dal governo Prodi. Hanno attaccato i fannulloni? Definendo così tutti i dipendenti pubblici! Ma non hanno fatto niente sull’innovazione. Invece vanno messi online i bandi di gara e di concorso, vanno resi noti i criteri così da poter controllare.

Lanfranco Tenaglia (Giustizia)

Il governo ha proseguito la distruzione della giustizia portata avanti tra il 2001 e il 2006. Il lodo Alfano viola le norme di uguaglianza tra i cittadini ma su di esso si pronuncerà la Corte Costituzionale. Invece non hanno fatto quello che serviva, non si sono occupati della giustizia dei cittadini. Servono processi più rapidi, certezza della pena, equilibrio tra accusa e difesa. Una giustizia che non funziona è una palla al piede dei cittadini e nel 2009 continuerà ad esserlo.

Enrico Letta (Welfare)

Il governo si è mosso sulla difensiva rispetto alla crisi economica, ma come dimostrano Brown e Sarkozy bisogna attaccare. Non basta la difesa del decreto salva-banche che noi infatti abbiamo agevolato. Bisogna passare all´offensiva, a partire dagli ammortizzatori sociali. La proposta che mi sento di fare al governo è la seguente: convochi a gennaio una sessione parlamentare che serva ad incardinare la riforma degli ammortizzatori sociali e noi saremo i primi a fare la nostra parte. Ci vuole grande impegno e celerità per dare vita ad una seria riforma nell´arco di un mese.
Vincenzo Cerami (Cultura)

Il mondo della cultura, dello spettacolo e dell'arte sta affrontando una vera e propria emergenza che il Governo sceglie di ignorare nonostante Bondi chieda risorse! Intanto chiudono 450 tra teatri decine di migliaia di persone sono a rischio disoccupazione in un settore già precario. Ci sono problemi con enti lirici e conservatori. E per i beni culturali?si è trovato un manager (Mario Resca ex Mc Donald, ndr) ma non si vede come potrà gestire se non privatizzando le nostre bellezze! Basta guardare Verona dove il sindaco ha messo in vendita 2 palazzi del ‘700, uno dei quali è un museo. È un precedente pericoloso. Così nel ministero si sta ristrutturando la struttura, mettendo in sottordine tutta la questione ambientale, smantellando gli uffici che se ne occupano. Sappiamo l’importanza che ha la conservazione del paesaggio che è la nostra memoria. La cultura è la nostra identità e la stanno soffocando, considerandola uno spreco. Ma non si vive solo di pasta e ceci!

Marco Minniti (Interno)

Sicurezza: da parte del Governo Berlusconi tanti annunci e pochi fatti se si escludono grandi tagli agli investimenti: 3,5 miliardi di euro in meno a Interno e Difesa, alle forze di polizia. Sull’immigrazione hanno scelto di non governare il fenomeno: duri a parole senza dare più sicurezza al paese, basta pensare al raddoppio degli sbarchi a Lampedusa in un solo anno! Bisogna distinguere tra chi entra in Italia con una casa e un lavoro e va legalizzato e chi entra illegalmente. Ma il governo fa di tutta l’erba un fascio anche con misure odiose e sbagliate. Noi abbiamo presentato un pacchetto sicurezza per risolvere tutti i problemi e all’inizio del 2009 affronteremo in maniera organica il tema dell’’immigrazione riproponendo con forza i temi della sicurezza e il diritto di voto per gli immigrati presenti legalmente in Italia e che hanno diritto di partecipare alla comunità perché non c’è sicurezza senza solidarietà.
Alfonso Andria (Politiche agricole e forestali)

Il decreto sulla competitività nel settore agro-alimentare e la finanziaria sono state le due grandi occasioni perse da parte del governo Berlusconi nel 2008. Due circostanze in cui si poteva dare un sostegno al comparto agricolo e ai settori collegati, alla pesca. Invece abbiamo assistito allo spettacolo della maggioranza che votava i nostri emendamenti in Commissione in Senato mentre noi votavamo alcuni dei loro, o per poi bocciarli tutti in Aula, votando anche contro sé stessa per ordine di scuderia! Votando contro i nostri prodotti di eccellenza, i marchi di qualità del made in Italy. È molto grave e ci impegna a fare di più e meglio nel 2009 provando a fare breccia in una sensibilità che ad oggi non abbiamo potuto rilevare.
Pina Picierno (Politiche Giovanili)

È facile criticare il governo perché è stato il più ostile alla gioventù italiana. Ho l’imbarazzo della scelta: dalla norma antiprecari alla riforma scolastica e universitaria si è fatto di tutto x ostacolare i giovani. Per la Meloni non so come criticarla. Non ha fatto nulla per i giovani. Cosa avrei fatto io? Avrei provato a sbloccare il nostro paese che vive in una sorta di ingessatura, di gabbia mentre ha bisogno di liberare le energie. via subito alle quote verdi. L’Italia ha bisogno delle energie giovani, poi voto a 16 anni per le amministrative, più opportunità di accesso al credito, alla casa, al lavoro e cambiamento della legge sull’immigrazione: dando cittadinanza ai ragazzi nati qui.

Giovanna Melandri (comunicazione)

questo governo ha avuto una politica non brillante: abbiamo visto prima la norma salva Rete 4, poi la decisione di aumentare l'IVA a SKY, un concorrente di Mediaset, poi la sceneggiata della commissione di vigilanza. Su tutto questo stendiamo un velo pietoso... intanto il vero reale problema è rimasto la riforma del servizio pubblico, ancora inattuata nonostante ci si trovi di fronte all'imbarazzante posizione del premier e nonostante il servizio pubblico necessiti di una reale distanza e indipendenza dalla politica. Per noi si deve ripartire dalla riforma della Rai e da più risorse sulle infrastrutture della comunicazione, come la banda larga per le connessioni internet in tutta Italia.

lunedì 22 dicembre 2008

Veltroni: «No al presidenzialismo siamo contrarissimi».

Veltroni (Ansa)ROMA - «Il presidente del Consiglio sappia che se coltiva un'ambizione presidenzialista noi siamo risolutamente contrari nelle condizioni date e con le distorsioni già esistenti. Ma soprattutto invece di gettare ballon d'essai si occupi della vita reale dei cittadini». Così il leader del Pd Walter Veltroni boccia la proposta di presidenzialismo avanzata dal premier Silvio Berlusconi nella conferenza stampa di fine anno. «Berlusconi - aggiunge Veltroni - si deve occupare di una crisi economica seria e del fatto che la gente come dicono oggi i dati drammatici dell'Istat non arriva a fine mese». Il presidente del Consiglio, insiste il segretario dei Democratici, deve occuparsi «del dramma delle famiglie italiane invece di mettere ogni giorno altri temi diversivi che tra l'altro dividono la sua maggioranza».

sabato 20 dicembre 2008

DOCUMENTO APPROVATO ALLA DIREZIONE DEL 19 DICEMBRE 2008

L’Italia vive la più grave crisi dal dopoguerra.
Gli sconvolgimenti e le forti e continue turbolenze che hanno attaccato i mercati e le economie mondiale produrranno pesantissime conseguenze sul sistema produttivo e sugli assetti sociali del nostro Paese. Tutti i principali parametri economici oggi disegnano l’orizzonte di una crisi che si presenta lunga e difficile.
Contrariamente a quanto assicurato dal governo nei mesi scorsi, l’economia reale è in pesante sofferenza, lo scenario di recessione appare destinato a prolungarsi oltre il prossimo anno, la condizione delle imprese e delle famiglie italiane è sempre più precaria e difficile.
La risposta di governo alla crisi è risultata debole, contraddittoria, sostanzialmente inefficace.
Gli strumenti legislativi messi in campo si sono rivelati limitati e insufficienti. Le misure adottate a sostegno e garanzia del credito non hanno prodotto il sostegno necessario al sistema produttivo e le imprese, in particolare quelle medie e piccole, vedono crescere in maniera insostenibile la difficoltà di accesso al credito, indispensabile per resistere nel mercato.
Questa condizione di grave debolezza sta portando con sé conseguenze profondamente negative sulla vita di milioni di persone e sulle loro famiglie.
Nel Paese si afferma un clima di incertezza, precarietà, angoscia sociale.
Aumenta in modo preoccupante il tasso di disoccupazione. Quote sempre più ampie di popolazione sono a rischio di impoverimento. Crescono le disuguaglianze, che colpiscono soprattutto i giovani, i precari, le regioni svantaggiate ed in particolare quelle del Sud.
In una condizione strutturalmente più debole e meno competitiva del nostro Paese, condizionato dall’ipoteca negativa del debito pubblico, il governo ha sprecato risorse preziose, mettendo in atto scelte sbagliate dal punto di vista dell’equità, come quelle sull’Ici, o inutili e dunque inefficaci come quelle sulla detassazione degli straordinari.

Il Partito Democratico ha presentato una sua proposta alternativa, coerente con il quadro economico e finanziario del paese e fortemente orientata a sostenere lo sviluppo e la domanda per rimettere in moto il sistema produttivo.
Chiediamo di affrontare la crisi mettendo in testa alle priorità di governo le famiglie e le imprese: per questo chiediamo di investire un punto di Pil, pari a circa 16 miliardi di euro, nella definizione di ammortizzatori sociali universali, nel sostegno dei salari e delle pensioni medio bassi, nel rilancio degli investimenti pubblici, partendo dalle opere immediatamente cantierabili, nel sostegno alla piccola e media impresa.
Riteniamo poi le politiche necessarie per contrastare i mutamenti climatici anche una straordinaria occasione per rilanciare su basi nuove l’economia e ampliare l’occupazione.
Il Pd in questi mesi ha assunto con pienezza e determinazione la propria responsabilità di principale forza di opposizione nella consapevolezza che la fase di straordinaria difficoltà dell’economia globale richiedesse un impegno comune di tutte le forze politiche nell’interesse generale del Paese.
Questa disponibilità ad un confronto costruttivo ha caratterizzato e caratterizza il lavoro dei nostri gruppi parlamentari e del governo ombra.
A questa scelta di responsabilità il Presidente del Consiglio ha opposto una linea di chiusura e di arroccamento. Il dialogo auspicato all’inizio della legislatura si è rapidamente trasformato nel soliloquio arrogante e sprezzante che ha caratterizzato gli ultimi mesi. Il processo legislativo è stato snaturato e stravolto con il continuo ricorso a decreti e fiducia. La dialettica parlamentare tra maggioranza e opposizione è stata continuamente sottomessa e imbrigliata nell’impossibilità sostanziale di modificare e migliorare provvedimenti blindati.
Il faticoso tentativo di una convergenza sulle regole, dal federalismo fiscale alla legge elettorale, è stato messo a rischio dall’annuncio di Berlusconi di voler procedere al cambiamento della Costituzione a colpi di maggioranza.

Di fronte a questo inaccettabile atteggiamento del presidente del consiglio, subito con fatica persino dalla sua maggioranza, il Partito democratico ha scelto e sceglie la strada della coerenza.
Quella di un partito capace di dare forza all’opposizione, in sintonia con il disagio e la protesta sociale che si diffonde nel Paese, come è successo, ad esempio, di fronte ai provvedimenti del governo sulla scuola. E insieme quella di un partito che, valorizzando la sua cultura di governo e il suo riformismo, intende sviluppare la sua iniziativa programmatica, le sue proposte per un’Italia diversa, la sua capacità di pensare il futuro del Paese oltre la crisi.
Sappiamo che la crisi che abbiamo di fronte non ha contorni solo economici e finanziari. La crisi globale sta cambiando gli stili di vita, il modello di sviluppo ma anche quelli culturali. Un’opportunità per le culture riformiste del mondo, dopo un decennio guidato dalle cultura del mercato e della competizione senza regole come ricetta unica di crescita globale.
Un’opportunità di cambiamento perché impone a tutti il tema di una nuova etica pubblica, che interpella il modo di fare economia, ma anche il modo di pensare e di fare politica.
Ed è proprio perché siamo consapevoli dell’importanza del rapporto tra etica e politica che ci impegneremo perché vengano salvaguardati i principi fondamentali dello stato di diritto, intervenendo per rafforzare, secondo lo spirito della Costituzione, tutti quegli strumenti e quegli istituti necessari per una giustizia giusta ed efficiente, come ha invitato a fare, con parole forti e chiare, il Presidente della Repubblica.

Il profilo innovativo ed incisivo di questo grande partito popolare, radicato nei territori, fatto di partecipazione e passione, capace di dire con nettezza i suoi no e i suoi sì è apparso con tutta la sua forza nella straordinaria manifestazione del Circo Massimo, il 25 ottobre a Roma.
E tuttavia sappiamo che il cantiere del Partito Democratico è ancora aperto e che di fronte a noi c’è molto lavoro da fare per completare la costruzione di un soggetto politico capace di essere all’altezza delle ambizioni che lo hanno fatto nascere.
L’appuntamento della prossima assemblea programmatica annuale, prevista dall’art. 27 dello statuto, che si terrà il 12, 13, 14 marzo 2009 e che sarà composta dai membri l’assemblea costituente nazionale e da una vasta rappresentanza degli amministratori e dei dirigenti locali del partito, rappresenterà l’occasione per rilanciare gli obiettivi del nostro riformismo, ma anche per organizzare il percorso e per recuperare i ritardi. Senza tuttavia smarrire la continuità del nostro sforzo di innovazione e anche le ragioni che ci devono indurre ad accelerare il nostro lavoro. Prima fra tutte la consapevolezza della necessità di una forte innovazione politica e istituzionale.

Il Pd è il grande partito che nasce dalla convergenza delle grandi tradizioni riformiste e democratiche per dare una risposta forte alla crisi della democrazia. La sua affermazione ha determinato un positivo cambiamento del sistema politico italiano che, in quadro di consolidato pluralismo politico e culturale, ha tuttavia rafforzato l’impianto bipolare della nostra democrazia con l’obiettivo di dare maggiore efficienza al necessario equilibrio tra rappresentanza e riduzione della frammentazione.
Anche per questo la Direzione impegna i propri gruppi parlamentari a sostenere una modifica della legge elettorale europea che introduca una soglia di sbarramento ma che mantenga le preferenze.
Vogliamo e dobbiamo proseguire lungo questa rotta, riaffermando una vocazione maggioritaria che non significa in nessun caso autosufficienza ma l’assunzione di una responsabilità nella costruzione di relazioni nel campo del centrosinistra, ribadendo la volontà di ricercare solo aggregazioni nuove, che nascano dalla condivisione di un programma e rifuggendo invece da scelte costruite nella logica della sola contrapposizione agli avversari, che finirebbero per negare e compromettere la natura riformista e la cultura di governo del partito, non conciliabile con tentazioni populiste e plebiscitarie.

Il Pd è infine impegnato a rafforzare la costruzione del partito nel suo radicamento territoriale a cominciare dal tesseramento e dal completamento della presenza dei circoli in ogni comune italiano.
Alla luce del percorso sin qui compiuto nella fase costituente e dopo l’approvazione dello Statuto nazionale e di quelli regionali, il PD promuoverà un’ampia riflessione sul modello di partito, verificando in particolare i modelli di partecipazione e rappresentanza, di selezione di nuove leve dirigenti, di espressione di territori in un partito nazionale a base federale, di rapporto tra valorizzazione delle primarie e responsabilità della direzione politica, tra democrazia diretta e delegata, nonché adottando le norme che devono regolare i rapporti di autonomia e di distinzione tra funzioni dirigenti di partito e incarichi istituzionali.
In questo percorso a tutti i livelli andrà fatto ogni sforzo per aprire i propri gruppi dirigenti anche a tutte quelle persone che hanno creduto e credono nel progetto politico del PD e che possono integrare le competenze e la presenza di quanti provengono da uno dei partiti promotori.
Il Partito inoltre è impegnato ad una fermissima applicazione dei principi di trasparenza e rigore nei criteri di selezione della propria classe dirigente ad ogni livello, in applicazione dello Statuto, con particolare attenzione all’art. 43, e del Codice Etico.
Una scelta ancora più necessaria dopo gli episodi giudiziari di questi giorni, che impongono da un lato il rispetto del lavoro della magistratura e insieme del principio costituzionale di non colpevolezza sino alla sentenza definitiva, ma dall’altro pretendono che la classe dirigente del partito sia ad ogni livello inattaccabile nei comportamenti, nelle relazioni, negli stili di vita ben oltre i fatti di rilevanza penale.
Anche per questo, ai fini di una incisiva e tempestiva azione, la Direzione da mandato al Segretario nazionale di nominare, in casi di necessità e urgenza e ricorrendo gravi e ripetute violazioni dello Statuto o del Codice etico, sentito il Consiglio dei garanti, un organo commissariale sostitutivo del Segretario e della Segreteria, ovvero di altri organi esecutivi, ai sensi dell’art 17 comma 5 dello Statuto. Nomine che saranno sottoposte entro 45 giorni alla ratifica, a pena di nullità, da parte della Direzione.
La Direzione infine approva la relazione del Segretario Nazionale.

VELTRONI:"ABBIAMO IL DOVERE DI NON DELUDERE"(RELAZIONE DEL SEGRETARIO)

Si è conclusa la Direzione Nazionale del PD con l'approvazione di un documento che ha ripreso la relazIone del segretario del PD, Walter Veltroni, che stamani ha aperto la riunione. Il documento finale della Direzione nazionale del Pd è stato approvato con un solo voto contrario e pochi astenuti.
Il documento presentato da Marco Follini ha avuto un solo voto a favore, mentre quello presentato da 12 membri della Direzione tra cui Bachelet, Sofri e Adinolfi è stato respinto a larghissima maggioranza.
Pubblichiamo la sintesi della relazione del segretario Walter Veltroni:

La crisi economica, la moderna e inaccettabile diseguaglianza sociale.

Disuguaglianza sociale. Il dramma più grande che l’Italia oggi sta vivendo è contenuto in queste due parole. Disuguaglianza sociale. E’ questa la grande, moderna questione che si pone, oggi, di fronte a noi.Colpevole non vedere, non rendersene conto. Imperdonabile non sentire bruciante, sulla nostra pelle, per le nostre coscienze, il dovere di offrire risposte a questa realtà. La crisi finanziaria, esplosa nei mesi scorsi, è diventata recessione economica e sta colpendo con durezza la vita delle persone, delle famiglie, delle imprese.Nel terzo trimestre di quest’anno il Pil è sceso dello 0,9 per cento. L’Istat ci dice che il tasso di disoccupazione è arrivato al 6,1 per cento e Confindustria stima che arriverà all’8,4 per cento nel 2009. Settori cruciali del nostro apparato produttivo conoscono riduzioni di ordinativi nell’ordine del 30 per cento rispetto allo scorso anno. La caduta dei consumi e la stretta creditizia tolgono ossigeno alle piccole imprese: tre su cinque stanno avendo difficoltà nell’accesso al credito. Più di 300 mila lavoratori sono già in cassa integrazione: 58 mila in diversi stabilimenti della Fiat, 1.600 nelle sole acciaierie di Piombino, e soffrono anche distretti forti della nostra economia come quello delle ceramiche di Sassuolo e quello dell’occhialeria di Belluno. Sempre Confindustria stima che la crisi distruggerà 600 mila posti di lavoro.“Io non renderei note queste cose”, ha detto ieri il Presidente del Consiglio.Ma questi non sono solo numeri: sono storie, sono vite, sono famiglie mortificate e in ginocchio, sono dignità ferite e speranze infrante. E questa realtà il Presidente del Consiglio non può pensare di cancellarla agli occhi degli italiani. Alcuni di voi avranno letto, su Internet, i racconti dei ragazzi di 5 mila scuole italiane. Descrivono cos’è la crisi, con gli occhi di un adolescente, mentre la vita continua, mentre si avvicinano le Feste di Natale. Una di queste lettere descrive quello che succede in una famiglia normale, semplice, onesta. Lo sguardo di una ragazza che cade sui suoi genitori, seduti al tavolo della cucina. Il padre con la testa fra le mani. La madre con lo sguardo preoccupato che prova a consolarlo. Quelle due parole, “cassa integrazione”, percepite distintamente.E il racconto che prosegue: “papà non sembra consolarsi, dice di essere un fallito, perché non è riuscito a dare tranquillità e sicurezza alla sua famiglia. Si sente un fallito, perché ha caricato mamma di mille preoccupazioni e, nonostante gli sforzi, con quel misero stipendio di operaio che portava in casa, non si riusciva ad arrivare a fine mese. Si sente un fallito perché non riesce a dare ai suoi figli un futuro sereno: non può portarci al cinema o al ristorante, ma neanche comprarci dei vestiti nuovi o una fetta di carne in più al posto delle solite verdure. Mamma allora si siede accanto a lui, lo guarda negli occhi e gli dice determinata e lucida: è lo Stato che ha fallito, non tu; lo Stato che non riesce a dare benessere ai suoi cittadini e sta producendo sempre più nuovi poveri”. Il dramma è questo. La crisi sta colpendo un Paese fermo e terribilmente diseguale, un Paese con le infrastrutture in ritardo e senza mobilità sociale, sempre più diviso fra ricchi e poveri, fra chi paga le tasse e chi no, fra pochi che per molto tempo hanno tratto vantaggi dalle speculazioni finanziarie e tanti che anche per effetto dell’avida ingordigia di questi pochi ora non arrivano alla fine del mese.Gli operai che faticano, che troppo spesso rischiano anche la vita per 1.200 euro al mese e che ora vivono con l’angoscia di arrivare in fabbrica e sapere che si va tutti a casa perché la produzione si ferma. I pensionati che devono calcolare come impiegare quel che resta della loro pensione dopo aver pagato l’affitto di casa e le bollette e decidere se eliminare qualcosa quando vanno al supermercato oppure entrano in farmacia. I ragazzi che, quando scadono i sei mesi passati al telefono a quattro o cinque euro l’ora, sanno che nemmeno verranno avvertiti e “licenziati”, perché semplicemente non verrà loro rinnovato il contratto: si calcola possano essere mezzo milione, quelli che alla fine dell’anno saranno in questa condizione.---------------------------------Una crisi da affrontare proprio come ragione d’esistenza del PD, per Veltroni. Serve lo spirito repubblicano la forte coesione nazionale il coraggio d’innovazione la capacità di confronto politica e socio-sindacale ma il governo è impegnato in una campagna elettorale permanente e gli italiani se ne sono accorti e non vanno a votare. Ricorda come Chiodi sia stato votato da meno di un quarto degli elettori.Delinea la crisi come uno spartiacque: non solo del volto d’Italia ma della sua fisionomia civile, della sua qualità democratica. E sottolinea: “Il rischio è ritrovarci in un paese che non conosciamo, senza berlusconismo , un modello culturale economico politico che volge al tramonto perché è stato il modo italiano di adattarsi al modello neoconservatore – mentre -il PD - è nato per abitare il futuro, per essere la vela del vento democratico che porta il mondo fuori dalla crisi. Ma nulla può essere scontato, serve una collettiva assunzione di responsabilità perchè il pd era la sintesi di continuità di culture politiche che hanno fatto la storia del paese e di innovazione”. E oggi la crisi economica dà un’alternativa secca e drammatica: Innovazione o fallimento.“O il pd salta nel futuro o si lega a un presente che la crisi precipita nel passato”. Una frase suggestiva ma radicata nella cronaca di questa settimana: “E’questo l’utlimatum che ci hanno dato gli abruzzesi, il voto all’IDV è sintomo e non causa del malessere, è un appello accorato dei nostri elettori”. Tocca le indagini che hanno costituito l’apertura dei quotidiani: “Il bollettino quotidiano di indagini sui nostri amministratori racconta al paese un PD segnato da opacità amministrativa e collusioni col malaffare è un immagine ingiusta e deformata i ns. I nostri amministratori sono migliaia, persone per bene, straordinario patrimonio e colpirli è colpire il buongoverno”. L’etica a volte diventa fatica ma “non si può ingrandire qualcosa che non c’è, vale il principio costituzionale della presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva e la magistratura deve andare avanti in autonomia e indipendenza”. Proprio per questo “la questione morale è centrale per noi e il nostro elettorato e quando si affaccia ci dà voglia di reagire, siamo i primo a volere amministratori ligi alle regole è comunque, per noi, non c’è solo il codice penale. Per i disonesti non c’è posto nel Partito Democratico. Non possiamo non vedere come nel nostro partito si siano insinuati stili politici, metodi di gestione della cosa pubblica, modalità di rapporto con la società civile e di relazione con la sfera degli interessi privati, assai diversi da quelli che devono essere nostri.C’è la grande maggioranza degli amministratori di centrosinistra, che hanno sempre ispirato la loro condotta a principi di trasparenza, di competenza, di innovazione e su queste buone pratiche hanno basato la loro popolarità tra i cittadini.E tuttavia, da diversi anni a questa parte è cresciuta, attorno a tutti i partiti, anche un’area grigia e paludosa, nella quale la trasparenza è diventata opacità, la competenza professionismo politico e carrierismo arrogante, l’innovazione gestione cinica di un potere fine a se stesso”.

Rinnovare la politica.

“Un partito ha pochi poteri di intervento punitivo ma tanti di prevenzione, s organizziamo la vita interna tollerando fenomeni di malcostume abbassiamo la nostra soglia etica e creiamo le premesse per violare la legge. Vogliamo agire sul serio anche pagando in termini di consenso non ho paura di perdere voti se significa combattere l’inquinamento che ci avvelena, per i disonesti non c’è posto nel PD. Siamo nati per rinnovare la politica, ridarle dignità e autorevolezza deve essere la soluzione non il problema. Questo abbiamo detto ai cittadini italiani. Ai nostri elettori che hanno affollato i seggi delle primarie il 14 ottobre dell’anno scorso e poi ci hanno consegnato, pur nella inevitabile sconfitta nella competizione sul governo, un partito del 33 per cento dei voti, il più grande partito riformista che l’Italia abbia mai conosciuto. Lo abbiamo detto ai nostri militanti, che hanno riempito il Circo Massimo il 25 ottobre: per la prima volta in così tanti, per la prima volta accomunati dalla stessa bandiera. Così abbiamo detto. E così loro hanno capito.

La crisi economica e il cambiamento.

Le crisi sono fasi di passaggio, dure e dolorose, dalle quali non si esce mai come si era entrati: nelle forme e nei modi di produzione e di sviluppo; nei rapporti di forza, sociali e politici; nei modelli culturali, nella gerarchia dei valori.Dalla grande crisi del 1929, si uscì, dopo la Seconda Guerra mondiale, con un grande compromesso tra capitalismo e democrazia: una crescita trainata dai consumi di una classe media in espansione, nella quale entrava il mondo del lavoro, anche operaio; una forte compressione delle disuguaglianze, grazie a politiche salariali generose e a forti azioni redistributive pubbliche; la rapida espansione dello Stato sociale.Trent’anni dopo, negli anni Settanta, la crisi petrolifera e la stagflazione hanno spinto l’Occidente a cambiare rotta: forti investimenti in innovazione tecnologica, che innalzano la produttività tagliando posti di lavoro e ridimensionando il potere contrattuale dei sindacati; la classe media si assottiglia, le disuguaglianze tornano ad allargarsi e l’ascensore sociale si blocca, anche per il ridimensionamento dello Stato sociale. Viene teorizzata l’autosufficienza del mercato e si afferma lo strapotere della finanza sull’economia reale, con gravi conseguenze anche per la democrazia, costretta a rinunciare a qualunque effettiva sovranità sui flussi di capitale.L’economia torna a crescere, ma a prezzo di gravi squilibri e forti disuguaglianze: negli Stati Uniti, innanzi tutto, ma anche in una parte dei paesi europei, tra i quali in primo luogo l’Italia, divenuta in questi anni, dopo gli Usa, il paese più diseguale dell’Occidente.Nel mercato globale entrano in campo nuovi protagonisti. Miliardi di esseri umani, prima esclusi dallo sviluppo, rivendicano peso e ruolo. Nel nuovo secolo, lo sviluppo si mostra tanto impetuoso, quanto insostenibile: sul piano globale, per il divario crescente tra l’indebitamento americano e il surplus asiatico; sul piano ambientale, per le pesanti conseguenze sul clima del trasferimento del modello occidentale ai paesi emergenti; sul piano interno, per l’impoverimento della classe media, in particolare negli Usa, spinta ad indebitarsi per la casa, la sanità, l’istruzione.Lo squilibrio è stato sostenuto, in questa prima fase del Duemila, la stagione della presidenza di George Bush, dalla “hybris” imperiale americana, dal suo imporsi come unica iperpotenza globale, dalla sua pretesa di dettare da sola, in modo unilaterale, con le armi o con il dollaro, le decisioni riguardanti l’ordine mondiale.Ma il pantano iracheno prima e la crisi finanziaria poi, hanno spezzato l’illusione neo-conservatrice e hanno aperto la via ad una fase nuova, ad un nuovo paradigma di pensiero, ad una nuova stagione politica.In questo contesto, la scelta del popolo americano di affidare le proprie sorti a Barack Obama è stata una straordinaria prova di saggezza e di lungimiranza. L’America ha respinto la tentazione della chiusura difensiva e ha deciso di scommettere sul cambiamento: su un nuovo multilateralismo nelle relazioni internazionali; e su un nuovo New Deal, sulla ricostruzione della classe media, su una nuova stagione di uguaglianza sociale.Obama, e con lui il Partito democratico, ha vinto perché ha puntato tutte le sue carte sul cambiamento, sulla voglia, sul bisogno di innovazione della società americana.Ora è atteso dalla dura prova dei fatti. Sarà la storia a dirci se il giovane presidente afroamericano, come tutto lascia sperare e presumere, sarà un nuovo Roosevelt, la guida sicura di una fase di cambiamento duraturo e solido. Per intanto, è toccato a lui aprire simbolicamente una fase nuova, una “terza fase” dello sviluppo umano contemporaneo.Il binomio rappresentato dalla crisi economica e dalla vittoria di Obama costituisce una formidabile occasione storica per i democratici e i progressisti di tutto il mondo e quindi anche per noi italiani.Nessuno di noi ha mai pensato che la vittoria democratica negli Stati Uniti fosse una nostra vittoria, ma abbiamo colto in quel risultato una straordinaria opportunità e anche una lezione, da apprendere e da meditare.Grazie alla crisi economica e al suo programma innovativo, Obama è riuscito a cambiare in profondità i rapporti di forza politici nella società americana, riportando i Democratici al primato sia alla Casa Bianca che al Campidoglio, dopo una lunga stagione di predominio repubblicano, solo attenuato con la presidenza Clinton.Se ciò è stato possibile, è perché la crisi economica ha riportato in primo piano il conflitto sociale, negli anni di egemonia repubblicana messo in secondo piano dall’uso ideologico delle questioni inerenti la razza, i valori tradizionali, la sicurezza interna ed esterna.

La vocazione maggioritaria.

Questa è del resto per noi la “vocazione maggioritaria”. Non la presunzione boriosa dell’autosufficienza, né la ricerca della solitudine, ma la convinzione che i rapporti di forza elettorali, anche nella società italiana, non sono un destino ineluttabile, ma possono essere modificati, anche in profondità, se cambia l’offerta politica, attraverso l’innovazione della proposta che rivolgiamo al Paese.Non è vero, non è mai stato vero, che la società italiana è “di destra” e pertanto ai riformisti, ai democratici, non resta che compensare, con la manovra politica, con il gioco delle alleanze, la loro insuperabile minorità.Il Partito democratico è nato sulla base del presupposto contrario. Una profonda innovazione politica e programmatica può cambiare, anche significativamente, l’orientamento elettorale degli italiani.Noi vogliamo far diventare il PD, alle prossime elezioni politiche, il primo partito italiano. Vogliamo conquistare alla destra una parte dei suoi consensi, costruendo una grande alleanza nella società italiana, un'alleanza con il Paese.E’ un cammino lungo e faticoso, quello che ci attende. Un cammino che chiede a ciascuno di noi generosità, pazienza, tenacia. E anche una certa dose di disciplina interiore. Ma è l’unico all’altezza delle ragioni storiche che hanno portato alla fondazione del PD. E soprattutto, l’unico adeguato alle necessità dell'Italia.Lungo il cammino, costruiremo le necessarie alleanze politiche. Mai più alleanze lunghe, eterogenee, costruite “contro” l’avversario e poi incapaci di governare. Questa stagione l’abbiamo chiusa con coraggio noi, l’ha chiusa il PD per sempre e il Paese non ha nessuna intenzione di farsi riportare indietro.E neppure dobbiamo nutrire nostalgia della stagione dell’alleanza tra partiti “di sinistra” e partiti “di centro”. Non solo è un progetto incompatibile col Partito Democratico, che è un partito di centrosinistra. Soprattutto, è un progetto anacronistico, che considera immutabile uno schema novecentesco che tutt’al più può sopravvivere a se stesso, ma che certo non è in grado di esprimere alcuna potenzialità innovativa.Non c’è, da parte nostra, alcuna illusione di poter fare tutto da soli. Ma le alleanze nuove che costruiremo saranno alleanze per l’innovazione e il cambiamento, affidabili sul piano della tenuta alla prova di governo. E saranno possibili solo se il Partito Democratico saprà dimostrare capacità espansive, solo se noi non delegheremo a nessuno il compito, che è innanzi tutto nostro, di modificare i rapporti di forza politici nella società italiana, attraverso la messa in campo di una proposta innovativa e credibile.E' qui il punto di debolezza dell'Italia dei Valori, che alimenta costantemente una polemica nei nostri confronti ma non si cimenta, parlando di lavoro, di scuola o di immigrazione, con le sfide dell'innovazione riformista.Sento dire che dovremmo rompere con Di Pietro. Posso solo far presente che già per tre volte in questi mesi, abbiamo esplicitato nel modo più chiaro che in Italia ci sono modi diversi di intendere e di fare l’opposizione: subito dopo il voto di aprile, quando Di Pietro ha stracciato gli accordi presi prima delle elezioni sul gruppo unico, quando noi non abbiamo partecipato alla manifestazione di Piazza Navona e infine con una mia dichiarazione che è stata titolo di apertura dei giornali.Ciò non significa che a livello locale non si possano trovare, come accade e accadrà con l’Udc e la sinistra radicale, delle convergenze su programmi e buona amministrazione.E comunque vorrei ricordare, per la memoria, che con lo stesso Di Pietro che oggi fa un’opposizione diversa dalla nostra, abbiamo condiviso un’esperienza di governo, e con non poche contraddizioni.E’ giusto fare, forse, un ragionamento di fase. Silvio Berlusconi è da quindici anni al potere. Otto come capo di governo, sette come capo dell’opposizione. E’ l’uomo politico più “longevo” dell’ultimo trentennio di storia italiana. E’ evidente che il Paese si trova nelle condizioni in cui è, sua è una parte molto grande di responsabilità. Ed è altrettanto evidente che se l’Italia sta così è anche perché le è mancata una vera e coerente stagione riformista. Il nostro Paese non ha conosciuto stagioni paragonabili a quella che la Gran Bretagna ha avuto con Tony Blair o per il verso opposto da Margaret Thatcher, non ha mai goduto dei benefici di quei cicli lunghi di governo che producono ventate creative e innovatrici, che dinamizzano e modernizzano una comunità nazionale.Due volte si sono aperte possibilità di questo tipo: con il primo centrosinistra e con il primo governo Prodi, ma entrambe queste esperienze si sono interrotte bruscamente. Berlusconi ha dimostrato e continua a dimostrare di non essere all’altezza di questa sfida. Noi dobbiamo esserlo. Tutte le nostre energie, intellettuali, morali, politiche, organizzative, devono essere messe al servizio di questo compito storico, allo stesso tempo arduo e affascinante.

Lo spirito del lingotto: 5 proposte.

1 – Primo: una politica di bilancio espansiva, subito, adesso. La crisi va affrontata dando una risposta efficace a chi perde il lavoro, alle famiglie che non arrivano alla fine del mese e alle imprese che soffrono. Ed è questo l’unico modo per farlo. Tutti i governi stanno facendo così. Tutti meno uno: il governo Berlusconi, in Italia. Che si ostina a ripetere che non c’è bisogno di modificare il decreto di luglio. Il Pil cade, la produzione industriale crolla, aumenta la disoccupazione, gli italiani stringono la cinghia e riducono i consumi, ma tutto quel che c’era da decidere è già stato deciso a luglio e ora bisogna lasciare perfettamente inalterati i saldi di finanza pubblica.Non si può fare diversamente, dicono gli stessi neofiti del rigore che tra il 2001 e il 2006 hanno aumentato di due punti e mezzo di Pil la spesa corrente primaria e che ora hanno appena buttato 3 miliardi e mezzo di euro nell’azzeramento dell’Ici anche per i contribuenti più agiati e altri 3 miliardi nel pasticcio Alitalia.E invece si può e si deve cambiare, bisogna avere il coraggio di innovare. I problemi dell’Italia sono profondi, non nascono con la crisi. L’Italia non deve solo resistere alla recessione, deve tornare a crescere.Nessuno meglio di noi sa che la stabilità dei conti pubblici è un valore. Siamo stati noi a risanarli e a portare l’Italia da subito in Europa, quando altri pensavano solo ad alimentare uno sterile euroscetticismo. E’ stato il primo governo Prodi, è stato un ministro del Tesoro come Carlo Azeglio Ciampi. Ma se è in corso una recessione, l’unico modo per tenere in ordine i conti pubblici in prospettiva è quello di sostenere la crescita, e dunque di aumentare ora la spesa pubblica, avviando contemporaneamente, subito, quegli interventi di riqualificazione della spesa che porteranno domani ad una sua riduzione. Sostenere ora il Pil richiede anche la ripresa delle liberalizzazioni e di azioni coerenti di politica industriale; tenere i conti in ordine impone di tornare a contrastare l’evasione. Solo così potremo davvero non compromettere la stabilità di lungo periodo della finanza pubblica.Ecco la nostra proposta: per il 2009 si sostengano le famiglie, i lavoratori e le imprese con misure pari a un punto di Pil, pari a 16 miliardi di euro.Proponiamo di ridurre la pressione fiscale sui redditi da lavoro e sulle pensioni, a partire dai livelli medio-bassi: 7-800 euro l’anno in più per chi ha fino a poco più di mille euro al mese. Una misura non una-tantum, ma permanente, in grado di dare un sollievo duraturo e di contribuire a rilanciare i consumi. Questo serve, anche alle nostre imprese. Alle quali lo Stato deve garantire un sostegno per accedere a tutto il credito di cui hanno bisogno e l’immediato pagamento per i beni e servizi che devono arrivare dalla Pubblica Amministrazione. Tempi certi: quando si ha a che fare con lo Stato, per le imprese, come per i cittadini, questo deve essere un diritto, non solo un dovere.Proponiamo poi una riduzione del prelievo Irpef sulla quota di salario da contrattazione di secondo livello, in modo da favorire la crescita della produttività e la sua equa redistribuzione. E proponiamo una riduzione del prelievo Irpef sulle lavoratrici, dipendenti e autonome, con figli. A parità di reddito, di prestazione di lavoro, di settore di attività, il lavoro di una donna con figli deve essere fiscalmente agevolato, e costare meno all'impresa, rispetto a quello di un lavoratore maschio. Le ragioni sono evidenti: se in famiglia lavora anche la donna, ci sono spese per servizi di cura che altrimenti non ci sarebbero. E se incentiviamo l’occupazione femminile, tutto il sistema ne trae giovamento, perché la più grande risorsa per lo sviluppo e la mobilità sociale è quella, oggi sottoutilizzata, rappresentata delle donne.C’è un’evidente, fortissima connessione tra queste proposte in tema di trattamento fiscale del reddito delle lavoratrici e quella che abbiamo chiamato la “dote fiscale dei figli”: un robusto aiuto alle famiglie che traduce in italiano, senza disincentivare il lavoro femminile, la soluzione francese del “quoziente familiare”.Questo deciso riorientamento “al femminile” del sistema fiscale e di welfare può essere finanziato, almeno in parte, attraverso il graduale e flessibile superamento dell’attuale differenza dell’età di accesso alla pensione tra uomini e donne: una questione difficilmente eludibile, dopo la sentenza della Corte europea di giustizia, che l’ha definita come una discriminazione contro le donne.La nostra proposta – al contrario di quella del Governo, che si limita a prendere atto della sentenza per fare cassa – intende utilizzare tutte le risorse liberate, per rafforzare il sostegno pubblico alle donne stesse, favorendo ogni pratica di conciliazione e concentrando le risorse nella fase della loro vita nella quale ne hanno più bisogno, quella del triplo impegno: della maternità, del lavoro di cura e del lavoro di mercato.E se c’è da affrontare un grande forzo per sostenere lo sviluppo e il tenore di vita della classe media e del mondo del lavoro, è giusto, ad esempio, chiedere un contributo straordinario di solidarietà a chi, manager e non solo, ha redditi superiori ad un milione di euro.E’ venuto il tempo di cominciare a redistribuire davvero, da chi ha troppo verso chi ha poco.

2 – Seconda grande innovazione: un nuovo sistema universale di ammortizzatori sociali.E’ una innovazione che risponde concretamente al dramma di milioni di milioni di persone, donne e giovani su tutti, e che dà il segno di quanto sia profonda la rottura col passato rappresentata dal riformismo del Partito Democratico. Per i lavoratori che sono tutelati dalla Cassa integrazione, questo è un periodo difficilissimo, pieno di preoccupazioni sul futuro loro e dell’azienda. Per tutti gli altri, è anche peggio. Per loro, la perdita del lavoro è subito perdita di tutto il reddito.Innovazione, per noi, significa allora superare quell’inaccettabile dualismo nel mercato del lavoro per il quale ci sono lavoratori che hanno tutele e garanzie e altri che ne hanno di meno o non ne hanno affatto.E’ come se all’Italia mancasse un intero pilastro dello Stato sociale. Se in America manca la sanità pubblica, a noi manca la tutela del reddito in caso di perdita del lavoro. Invece della flexicurity europea, nel nostro Paese, per quasi metà dei lavoratori c’è il massimo di flessibilità, senza alcuna sicurezza.Innovazione, per noi, significa un sistema capace di sostenere tutti i lavoratori, al di là del contratto, del settore e delle dimensioni dell’impresa nella quale operano, nel momento in cui ne hanno bisogno. Uniche condizioni: l’impegno per la riqualificazione professionale e la disponibilità ad accettare un nuovo lavoro.Proponiamo un sussidio unico di disoccupazione, che sostituisca gli attuali istituti, che sia della durata massima di due anni, che sia finanziato in via assicurativa e sia strettamente collegato a politiche di formazione, di riqualificazione e reimpiego. Accanto a questo, proponiamo l’introduzione di un reddito minimo garantito, che contrasti la povertà anche tra chi lavora solo per brevi periodi di tempo o tra chi non ha un lavoro da molto tempo. Un istituto di welfare universale che esiste in quasi tutti i paesi europei e che costituisce il completamento degli istituti di tutela del reddito.Non si tratta, ovviamente, di togliere qualcosa a chi le tutele le ha. Si tratta di dare a chi non ha. Si tratta di costruire un percorso di inserimento nel mondo del lavoro che sia associato a un sistema di tutele e garanzie.Noi pensiamo a milioni di giovani, pensiamo alla loro vita, alle loro aspettative, alla loro frustrazione e alle loro speranze. Ieri c’era la mortificazione dei braccianti col cappello in mano, c’era l’alienazione della catena di montaggio. La precarietà senza futuro è il volto assunto oggi dallo sfruttamento. Il nostro riformismo non può chiudere gli occhi di fronte all’eterno susseguirsi di lavori precari che non conducono a nulla, di fronte all’inaccettabile prodursi di “vite di scarto”, condizione comune di milioni di persone. E’ questo il contesto nel quale si può cominciare a pensare e a discutere apertamente, e certo è chiara a tutti voi la radicalità di questa possibile innovazione, della sperimentazione di un contratto unico, a tempo indeterminato, con tutela crescente nel tempo e con un ben organizzato sistema di premi e penalizzazioni per l’azienda, volto a favorire il consolidamento e la stabilità dei rapporti di lavoro.Innovazione: di questo ha bisogno, come se fosse aria, il nostro Paese. Innovazione per costruire maggiore giustizia sociale.

3 – Terza innovazione radicale: fare dell’ambiente, della lotta ai mutamenti climatici, delle politiche energetiche, una delle chiavi per uscire dalla crisi. Forse la prima delle chiavi. Lo ha capito Barack Obama, che ha annunciato, per rilanciare l’economia americana, un piano di 150 miliardi di dollari in risparmio energetico e fonti rinnovabili, per creare 5 milioni di nuovi posti di lavoro.Una “rivoluzione verde”, una “terza fase” della rivoluzione industriale, che nasca da una nuova etica della responsabilità e che poggi, per quanto riguarda l’Italia, sulle straordinarie carte che il nostro Paese potrebbe giocare. La “rottamazione” del petrolio, la fine della dipendenza dai combustibili fossili, gli investimenti sulle fonti rinnovabili: questa è la strada.Il governo Berlusconi dimostra di non saperla e volerla prendere. Non comprende, proprio non comprende, che spendere, in campo ambientale, significa investire sul futuro. Ha distrutto, con un insieme di correttivi devastanti per i cittadini e per le imprese, gli incentivi al risparmio energetico per le abitazioni introdotti dal governo Prodi. Si è nascosto dietro alla comprensibile preoccupazione dei settori produttivi più esposti ai venti della crisi per cercare inutilmente di mascherare il suo ennesimo “euroscetticismo”: questa volta sugli obiettivi del 20-20-20 per le fonti rinnovabili, il taglio di emissioni di CO2 e l’efficienza energetica.Noi proponiamo che l’Italia imbocchi con decisione la strada dell’innovazione, della ricerca, della diffusione delle fonti rinnovabili. Si devono moltiplicare, e non eliminare, gli incentivi per le famiglie e per molti settori della nostra impresa che vogliono entrare o già si muovono in questo campo. Un campo vasto e fertile, che ha confini larghi. Penso ad esempio agli elettrodomestici, all’illuminotecnica, alla modernizzazione delle tecnologie per l’edilizia. Penso al settore dell’auto, e nel complesso a quanto si può fare per un eco-ricambio del parco circolante a livello di mezzi sia privati che pubblici.

4 – Quarta sfida di innovazione: una radicale e condivisa riforma della scuola, dell’università e della ricerca.E’ bene che dal governo ci sia stato un netto passo indietro da parte del governo, anche grazie al nostro ruolo e alle migliori ragioni avanzate da un movimento civile che ha coinvolto genitori, ragazzi e insegnanti. I tagli però restano, mentre gli altri paesi europei proprio qui fanno grandi investimenti. E con i tagli restano la nostra preoccupazione e le nostre critiche. Insieme ad una consapevolezza che non ci ha mai abbandonato: scuola, università e ricerca non vanno bene così come sono, ma hanno appunto bisogno di innovazione.Nella scuola e nell’università è il cambiamento, e non la conservazione, la frontiera dei riformisti.Selezione e valutazione, questi sono i principi che ispirano le nostre proposte.Senza selezione e valutazione, senza merito, i migliori finiscono per risultare sempre gli stessi: quelli con famiglie facoltose alle spalle, quelli con i contatti giusti, e magari quelli disposti a qualche compromesso di troppo con la propria coscienza.C’è un muro di conservazione che va rotto, abbattuto. Proponiamo che l’Italia si doti di un sistema di valutazione, nazionale e standardizzato, dei livelli di apprendimento degli studenti di elementari, medie e superiori. Solo con un grande esame su scala nazionale, gestito da valutatori esterni alle scuole e corretto in modo centralizzato, si potrà poi perseguire efficacemente il duplice obiettivo di premiare i capaci e i meritevoli e di individuare gli studenti, gli insegnanti, le scuole in difficoltà, con lo scopo di aiutarli. Solo così si potrà valutare il contributo netto di ogni scuola e di ogni docente sui risultati degli studenti, tenendo conto della qualità in entrata e delle condizioni socio-economiche delle famiglie. E sulla base di obiettivi chiari e di una reale autonomia, sarà finalmente possibile indirizzare le risorse verso le realtà che lo meritano.L’autonomia è la condizione per dare fiducia ai giovani. E’ forse venuto il momento di discutere se non si debba investire con più coraggio sulla consapevolezza dei ragazzi di sedici anni, che devono poter partecipare con le loro scelte alla definizione del loro piano di studi. Noi dobbiamo, dentro gli ambiti formativi definiti, permettere che i giovani seguano le loro passioni e i loro interessi, responsabilizzandoli costantemente. Dobbiamo investire su di loro, avere cura e attenzione per il grande tema della condizione sociale e psicologica dei ragazzi italiani. E a questo proposito, è giunto il momento di riconoscere ai ragazzi di sedici anni il diritto di voto alle amministrative. Responsabilizzazione, questa è la chiave, perché oggi si smette di essere bambini e si diventa giovani molto prima di un tempo.Autonomia e valutazione, anche per l’università: proponiamo una valutazione periodica di università e dipartimenti, attraverso gruppi di esperti, anche internazionali, che giudichino la qualità della ricerca e delle pubblicazioni. Sulla base di queste valutazioni sarà assegnata ai migliori una parte cospicua delle risorse.Il ministro Gelmini, facendo anche qui un passo indietro, ha annunciato l’obiettivo di portare al 30%, nel medio periodo, la quota di finanziamento delle università pubbliche basata sulla valutazione della ricerca. Bene. Lo si faccia davvero e con rapidità, con criteri davvero rigorosi e in modo indipendente. Di più: lo si faccia privilegiando il migliore 25% dei dipartimenti di ogni settore disciplinare. E’ un circolo virtuoso, che si deve innescare. Premiare le migliori università porta le università a puntare sui migliori. E così, al di là delle regole che verranno scelte per i concorsi universitari, si potrà sperare di ridurre al minimo i problemi di localismo, clientelismo o nepotismo.

5 – Quinta grande innovazione: mettere finalmente sui giusti binari le politiche per il Mezzogiorno.Le politiche del governo Berlusconi stanno letteralmente saccheggiando le risorse dedicate al Sud e puntano a riproporre, al posto della buona pratica degli incentivi automatici, l’intermediazione della politica locale e nazionale. Le cifre sono impressionanti: nel 2009, a fronte di 6 miliardi originariamente appostati nel Fondo per le Aree Sottoutilizzate, le effettive disponibilità sono state dimezzate per finanziare spese di parte corrente, che trovano i loro destinatari prevalentemente al centro-nord. E ancora prima era stato cancellato il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno.Ci vogliono risorse aggiuntive e ci vuole una coraggiosa battaglia per la legalità. Non si può lasciar solo quel vasto movimento di imprenditori, artigiani, commercianti del Sud che si battono contro il pizzo e le estorsioni delle mafie e hanno bisogno di buona politica come dell’aria da respirare. Della politica che dà certezze e non dispensa favori.Due, per noi, sono le strade da seguire per battere l’ideologia della dipendenza e promuovere la cultura della legalità e l’etica della responsabilità, senza le quali il Mezzogiorno non potrà mai diventare quella risorsa per il Paese e innanzi tutto per se stesso che oggi non riesce ad essere. Proponiamo di concentrare i fondi destinati al Mezzogiorno su pochi grandi obiettivi di carattere infrastrutturale e sovraregionale, a cominciare dalla mobilità e dalle grandi reti idriche. Proponiamo di prevedere una sorta di “vincolo esterno” nazionale, che promuova l’utilizzo ottimale delle risorse pubbliche ordinarie, per una progressiva qualificazione dei servizi pubblici e una progressiva riduzione delle spese di autorganizzazione della pubblica amministrazione.E’ esattamente per questi motivi che il Mezzogiorno non deve temere l’ondata di responsabilità derivante da un federalismo ben pensato: fondato sui criteri di vera autonomia impositiva, solidarietà collettiva e non bilaterale, riferimento ai costi standard e non ai costi storici. Ed è proprio in nome dell’interesse del Mezzogiorno e non solo delle legittime aspirazioni delle aree forti del Nord, che abbiamo deciso di presentare in Senato un nostro organico disegno di legge sull’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione e di aprire, a partire da esso, un confronto serrato con la maggioranza.

Le riforme.

1. Riduzione dei costi della politica e delle imprese pubbliche. Senato come Camera delle Regioni, anche ripartendo dal pacchetto Violante.

2.Legge elettorale.Dal nostro punto di vista, le preferenze non sono la soluzione ideale, anche se è preferibile che siano mantenute laddove, come per le elezioni europee, altre soluzioni sono di fatto precluse. In tema di europee, continuo a pensare che si debba trovare un equilibrio nel senso della difesa delle preferenze e dell’introduzione di una soglia di sbarramento per evitare la frammentazione. La strada maestra, almeno per quanto riguarda l’elezione del Parlamento, è comunque il ritorno al collegio uninominale, nel quadro di un sistema che, come avviene nell’esperienza francese, spinga ad aggregazioni tra forze omogenee e consenta agli elettori di scegliere da chi vogliono essere governati.

3. Giustizia. quello che sta accadendo con le inchieste della magistratura sulla politica, lo ripeto, non fa cambiare la nostra posizione, né in un senso né nell’altro. Il ministro ombra Tenaglia ha presentato al governo un pacchetto di proposte elaborato nel corso di una riuscita conferenza nazionale del PD. Sono proposte ispirate ad una maggiore efficienza della macchina processuale, soprattutto nei confronti dei cittadini e delle imprese. Proposte concrete e innovative. Penso solo al problema della lentezza della giustizia. Abbiamo detto: valutazione sistematica, benchmark, responsabilità. Quanto guadagnerebbe, in civiltà e in crescita economica, il nostro sistema economico e sociale, se tutti ti tribunali d’Italia funzionassero coi tempi del Tribunale di Torino? Se si è riusciti a Torino, perché non si può riuscire altrove? Proposte concrete e innovative. Come quando in campagna elettorale presentammo una proposta sulle intercettazioni telefoniche che prevedeva che i magistrati possano avvalersi delle intercettazioni per tutti i reati ma che nulla di questo possa finire sui giornali, violando fondamentali diritti. E questa proposta, lo voglio ricordare, fu allora sottoscritta anche dall’Italia dei Valori. Insieme al merito delle questioni, abbiamo indicato una metodologia innovativa: le riforme della giustizia non si fanno contro i magistrati, come vorrebbe il governo, o contro gli avvocati. Si fanno ascoltando, si fanno con un confronto di merito, basato non su dei pregiudiziali sì o no, ma su soluzioni concrete. Se si riuniscono le parti sociali per discutere delle pensioni, non si vede perché non debbano essere coinvolti i protagonisti di un settore fondamentale come la giustizia quando è della sua riforma che si deve decidere. Un tavolo che duri sessanta giorni, al termine del quale il governo decida, ma dopo aver lavorato insieme al mondo della giustizia e se lo riterrà anche con l’opposizione. E’ la nostra proposta, che si muove nel solco tracciato dal Presidente Napolitano che noi vogliamo seguire: distinzione tra governo e opposizione nel confronto politico, e ricerca della possibile convergenza sui grandi temi di interesse nazionale.

Un partito affidabile.

Un partito affidabile è un’organizzazione abitata e guidata da persone credibili, che ispirano fiducia: per la loro trasparenza e onestà, per la sobrietà del loro stile di vita, per la loro competenza, per il loro impegno appassionato.La credibilità morale di un partito è un bene inestimabile, che è facilissimo perdere e faticosissimo riconquistare. Dar vita ad un partito nuovo non è facile, non è mai stato facile, tanto meno quando si tratta di unire forze diverse. Ma oggi siamo ad un passaggio critico, che può essere decisivo per il Partito Democratico.L’urgenza immediata, in questo momento, è quella di recuperare fiducia, la fiducia dei nostri elettori nei riguardi del Partito Democratico. Cominciamo con l’applicare con ferma intransigenza il nostro Codice etico, che prevede un robusto elenco di incompatibilità, di conflitti d’interesse, di garanzie, che possono anche essere rafforzate, prevedendo ad esempio la non candidabilità di persone che, a giudizio di una magistratura interna, abbiano compiuto atti che pur non essendo penalmente rilevanti, recano pregiudizio alla credibilità morale del partito.Un’altra buona regola è quella del ricambio dei gruppi dirigenti, che deve essere frequente e continuo. Oggi è una vera e propria urgenza. Se vogliamo consolidare il PD, dobbiamo lavorare in modo impegnato, corale e convinto, per creare le condizioni per un forte avvicendamento con una nuova generazione di dirigenti.

Roberto Saviano farà parte della scuola di formazione del PD.

Ho chiesto a Giorgio Tonini e ad Annamaria Parente di organizzare una scuola di formazione nel Mezzogiorno, per una nuova leva di amministratori, per i giovani, che abbia al centro i temi della legalità. E ho chiesto a Roberto Saviano, che ha accettato, di prendere parte a questo nostro progetto. Sono segni di speranza, che dobbiamo incoraggiare. E dai quali dobbiamo attingere energie. Il malcostume e la degenerazione politica sono stati alimentati in questi anni più per la debolezza dei partiti che per la loro forza. Un Partito democratico forte, perché radicato, aperto, unito è la via maestra per far prevalere la buona politica.

Obiettivi da raggiungere.

Un partito forte è un organismo vivo, profondamente radicato nel territorio, capace di rappresentarne gli interessi e di viverne i valori. Un partito che sta dove vive la gente: negli ambienti di vita, di studio, di lavoro, come nel mondo virtuale della rete, oggi diventato abitazione principale delle giovani generazioni.E’ questo l’obiettivo che non siamo ancora riusciti a raggiungere. Lo sento come un limite del mio e del nostro lavoro, da superare insieme. Alle insufficienze dei partiti preesistenti non siamo ancora riusciti a sostituire un modello compiuto e convincente. Deve essere considerata una priorità del nostro impegno comune.Un partito di circoli, fatti di persone in carne e ossa, che si incontrano per aiutarsi a capire la realtà in cui sono immersi, da quella globale a quella locale, e per lavorare insieme a cambiarla, a migliorarla, a riformarla.I circoli devono diventare il lievito democratico e civile dei territori: un fermento che fa crescere intorno a sé una moderna cultura della cittadinanza, della responsabilità e della partecipazione civile, dell’impegno per i diritti e per l’uguaglianza sociale. E i segretari di circolo hanno una funzione essenziale, che va riconosciuta e promossa: sono gli animatori della democrazia di base, una risorsa straordinaria di presenza, di promozione del partito, di coltivazione civile della società.Dobbiamo dedicare più impegno, più risorse, più attenzione alla promozione dei circoli, se vogliamo che il Partito Democratico cresca, si rafforzi, si radichi nel Paese.Voglio dirlo con forza: è il territorio la frontiera sulla quale si costruirà il nuovo PD. Penso che dal territorio, dai segretari regionali e dai sindaci, possa venire un utile apporto permanente alle decisioni che il gruppo dirigente nazionale dovrà prendere. Si tratta di aprire una fase nuova e darsi strumenti di direzione all’altezza dei problemi che dobbiamo affrontare.Un partito affidabile è un’organizzazione forte e unita, in grado di prendere decisioni impegnative per tutti coloro che ne fanno parte, a cominciare dai dirigenti; di darsi una linea chiara e di portarla avanti con unità d’intenti, spirito di squadra, solidarietà, quando necessario anche rinunciando a quelle quotidiane differenziazioni che piacciono ai giornali e dispiacciono alla nostra gente.

Statuto e primarie.

Per essere all’altezza della sfida sulla democrazia che è drammaticamente aperta nel nostro Paese, noi abbiamo deciso di costruire un partito nuovo, quale quello delineato in modo netto e coraggioso dal nostro Statuto, che abbiamo appena scritto e che ora dobbiamo attuare e applicare con fermezza e decisione.Un partito che riconosce e attribuisce alle persone, nella loro responsabilità individuale, una vera cittadinanza democratica, la possibilità di esercitare un potere, di partecipare alla decisione. Un partito che riconosce ai suoi elettori un ruolo importante nelle decisioni da prendere, in modo da ridurre al minimo il rischio della chiusura autoreferenziale.E ai suoi iscritti il ruolo di ossatura portante di una presenza stabile nella società, una presenza che si possa incontrare quotidianamente sul territorio e negli ambienti di vita e di lavoro, una presenza che sappia farsi, a confronto con la società, proposta aperta, da avanzare alla platea più vasta dei nostri elettori.Insieme, dobbiamo costruire un’organizzazione aperta, abitabile, nella quale si possa incontrarsi, discutere, confrontarsi, partecipare alle decisioni. Una organizzazione nella quale gli incarichi di responsabilità siano attribuiti in modo competitivo e restino sempre contendibili.Il PD è oggi l’unico, vero, grande laboratorio sperimentale di democrazia di partito esistente in Italia. Quando si sperimenta si va incontro a limiti ed errori e si scoprono nuovi problemi. Ma è solo così che si impara, si migliora, si progredisce.In queste settimane, stiamo sperimentando la più vasta e capillare tornata di elezioni primarie per la selezione di candidati sindaci e presidenti di provincia che si sia mai vista nella storia d’Italia. Molte si sono rivelate quello che speravamo: una straordinaria pagina di vita democratica. Altre hanno messo in luce difficoltà e nodi critici, che andranno sciolti per il futuro da una riflessione comune.Bisognerà riflettere meglio, ad esempio, sul rapporto tra primarie di partito e primarie di coalizione. Sull’opportunità, probabilmente discutibile, di primarie per le candidature in liste con le preferenze. Così come sulle primarie per le cariche di partito. Le primarie sono uno strumento prezioso, una scommessa irrinunciabile. Non devono diventare un’ideologia. Soprattutto, non devono diventare l’occupazione principale, se non esclusiva, del partito. Sarebbe tragico se il PD si riducesse ad un luogo nel quale si discute solo di regole di vita interna.Il Paese ci chiede di sperimentare democrazia, non di trasformarci in una macchina di produzione di procedure interne. Un partito a vocazione maggioritaria, un partito che voglia cambiare i rapporti di forza nella società, deve essere un partito utile alle persone, non solo a se stesso. Siamo all’inizio di un percorso che vogliamo diventi costume democratico del Paese. Possiamo perdonarci qualche errore.

Un pdl populista.

Attorno a noi nessuno sbaglia, perché nessuno sperimenta democrazia. E il paradosso è che i media spesso si accaniscono sui nostri limiti, mentre nessuno parla dell’assoluta mancanza di democrazia negli altri partiti.A noi si rimprovera di fare primarie finte, quando c’è una leadership naturale. O al contrario di mettere in scena primarie-rissa, quando il risultato è aperto. Sarebbe già un piccolo passo avanti, se ci criticassero da un solo angolo visuale. Sarebbe un grande passo avanti, se qualcuno aprisse almeno un occhio sulla totale mancanza di democrazia di partito attorno a noi.Il nostro principale avversario, il “Popolo della libertà”, come dice il nome stesso, è una formazione politica tipicamente “populista”: l’unica democrazia che conosce è quella dell’applauso al leader. Un applauso ha accolto l’annuncio, a San Babila, dal predellino di un auto, che nasceva il Pdl. Un applauso ha segnato lo scioglimento di Forza Italia: una formazione politica che in quattordici anni di vita non ha mai tenuto un vero Congresso, non ha mai votato i suoi dirigenti.D’altra parte, qualcuno ha mai visto la Lega, o l’Italia dei Valori, fare un vero Congresso? O designare i suoi candidati con le primarie? Il modello populista è la regola della politica italiana, noi siamo la sola eccezione. Berlusconi ha definito il Pdl un baluardo della democrazia. Ma come può difendere, promuovere la democrazia un partito che non la pratica, non la vive al suo interno? Non è un caso se un giorno si e un giorno no gli scappa detto qualcosa che poi deve correggere, smussare, smentire, ma che in effetti tradisce il suo vero pensiero: come sarebbe bello se la Repubblica funzionasse come il Pdl, un uomo solo al comando, nelle sue mani tutti i poteri e tutto il potere – politico, economico, mediatico – niente contropoteri, niente parlamenti con le loro lentezze, niente opposizioni con le loro critiche depressive, niente magistrature indipendenti, niente libera stampa e giornalisti scomodi.E’ proprio la cupa potenza del populismo, di ogni populismo, di maggioranza e di opposizione, a definire la grandezza della sfida che abbiamo posto a noi stessi: scommettere sulla forza della democrazia, sulla chance del riformismo, sulla sua capacità di prevalere, anche in questo nostro Paese. Già le sento le dichiarazioni indignate di qualche esponente della destra. Tra qualche minuto ci risponderanno che non è vero, che il nostro è il solito antiberlusconismo ideologico. Rispondano, se credono, anche alla sfida che da qui vogliamo lanciare ai nostri avversari.

Finanziamento pubblico soli ai partiti che attuano l’art.49 della Costituzione.

E' tempo che si fissino per legge gli architravi della democrazia di partito, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione: statuti, bilanci, scadenze e modalità dei congressi, codici etici, primarie o altre procedure per la selezione dei candidati. E queste norme diventino condizione almeno per l’accesso al finanziamento pubblico. Noi siamo pronti a fare insieme questa riforma decisiva per la democrazia italiana.

Il partito che siamo e vogliamo essere.

E'un partito pluralista, fondato sul confronto delle idee e ricco di fondazioni, associazioni, centri di ricerca. Non dobbiamo, non vogliamo diventare invece un partito a canne d’organo, con catene di comando verticalizzate e correnti cristallizzate.Non esistono in democrazia grandi partiti che non siano pluralisti, sul piano politico e culturale. Ma il confine tra pluralismo, che è un valore di libertà, e degenerazione correntizia, che è invece una malattia mortale, va presidiato con grande attenzione.Vorrei che tutti lavorassimo per evitare, contrastare, limitare i rischi insiti nel correntismo: il prolungamento, nel nuovo partito, delle appartenenze e identità del passato, saltando l’esigenza e l’opportunità di mescolare le storie e di dar vita a nuove sintesi culturali e politiche; la riduzione del partito ad una federazione leggera di correnti rigide, strutturate organizzativamente; la riduzione della democrazia interna ad una spartizione correntizia, con la logica conseguenza che la solidarietà verticale con la corrente diventa l’unica via di partecipazione e di affermazione nella vita del partito.

Pieni poteri.

Dopo averne discusso con il Coordinamento e con i segretari regionali, chiedo che in questa fase particolare venga attribuito al Segretario il potere previsto dallo Statuto di intervenire in situazioni nelle quali sia necessario introdurre, anche attraverso commissariamenti, le indispensabili innovazioni.I prossimi mesi e il prossimo Congresso, che svolgeremo dopo le elezioni, saranno l’occasione per l’affermazione definitiva di una nuova generazione di dirigenti alla guida del partito. Dobbiamo far emergere le forze migliori, più coraggiose e innovative. Forze che abbiano dentro di sé l’identità democratica già compiuta.

Il dovere di non deludere

Dinanzi alla società nuova, più ricca, colta, emancipata, adulta, la società che è comparsa sulla scena nel ’68 e nel ‘69, i partiti storici, da elementi propulsori di sviluppo e di progresso, hanno cominciato a diventare e ad apparire “intercapedini” tra le istituzioni e i cittadini. Fu Aldo Moro il primo ad accorgersene, proprio nel ’68, quaranta anni fa, dieci prima della sua tragica e barbara uccisione: “Tempi nuovi s’annunciano”, aveva detto in un celebre discorso al suo partito. Tempi nei quali dovremo avere il coraggio di cambiare noi stessi, se vorremo essere ancora all’altezza del nostro compito. Ma i partiti italiani non furono in grado di cambiare se stessi, prigionieri com’erano di una contraddizione troppo grande, tra le ideologie che li dividevano, ricalcate sullo schema della guerra fredda, e i nuovi termini della questione italiana, che li avrebbe dovuti scomporre e ricomporre, lungo nuove frontiere. I partiti della Prima Repubblica entrarono così in una crisi irreversibile. Alcuni distruggendosi nel dilagare del malaffare, alla disperata ricerca di puntelli di potere, dopo che avevano avvertito come perduta la loro legittimazione storica. Altri estenuandosi in una infinita e sempre troppo lenta transizione.Dalla crisi dei vecchi partiti, dal 1992 in poi, il centrosinistra non ha mai più davvero tentato la costruzione di soggetti politici veramente nuovi. Da allora, ci siamo affidati prima al riformismo istituzionale, per ridefinire modi e forme della rappresentanza politica.Poi ci siamo affidati all’azione di governo, nazionale ma anche locale, per interpretare e cambiare gli orientamenti della società. Una sorta di “riformismo dall’alto”, come lo abbiamo definito autocriticamente, fragile perché non supportato da un consenso vasto, preparato negli anni dell’opposizione, spesi invece prevalentemente nella costruzione di larghe alleanze “contro” gli avversari. Nel frattempo sono nati e hanno dignitosamente vissuto soggetti politici sostanzialmente tradizionali, buoni ad accompagnare il lavoro istituzionale, ma che tutti insieme abbiamo giudicato insufficienti, inadeguati al compito di suscitare una nuova fase di riformismo e di democrazia.Oggi la sfida è quella di riprendere un percorso innovativo, da decenni interrotto. E non abbiamo molto tempo. Dando vita al Partito Democratico, abbiamo alimentato grandi aspettative, abbiamo suscitato una speranza nuova. Ora, abbiamo il dovere di non deludere.

mercoledì 17 dicembre 2008

Approvata la legge regionale contro le diossine


E l´opposizione si spacca. Approvata dopo un estenuante dibattito. Voto a favore anche dei consiglieri tarantini del centrodestra. E all´Ilva altri 2200 cassaintegrati. Il governatore annuncia: il prossimo obiettivo sarà la centrale di Brindisi


di Paolo Russo


La Regione impone all´Ilva l´abbattimento delle emissioni di diossina. Ieri il consiglio regionale ha approvato la legge che salva Taranto dai suoi veleni. Lo stabilimento siderurgico più grande e inquinante d´Europa sarà obbligato a ridurre drasticamente l´emissione di sostanze nocive per la salute e l´ambiente. Altrimenti la Regione avrà il potere di spegnere le sue ciminiere pericolose. "Con questa legge cambiamo la storia dell´Italia - ha commentato, commosso il presidente Nichi Vendola - è uno dei giorni più belli della mia vita", ha detto ieri al termine di una lunghissima maratona in consiglio regionale.La "sua" legge è stata approvata da una maggioranza "allargata" perché la salute dei cittadini di Taranto e provincia ha spaccato l´opposizione. Infatti, oltre ai partiti del centrosinistra, hanno votato contro la diossina, anche i rappresentanti tarantini del centrodestra: Antonio Scalera (Udc) e Donato Salinari e Nicola Tagliente (Forza Italia). Si sono astenuti, invece, i rappresentanti del Pdl e delle civiche di destra che non sono stati eletti nei collegi in riva allo Jonio. Non hanno votato la legge, pur condividendone i principi. Il centrodestra pugliese, ha chiesto nei suoi emendamenti di anticipare di un anno la data limite per l´abbattimento della diossina. L´assessore all´Ecologia, Michele Losappio, non volendosi discostare dal cronoprogramma fissato su parametri scientifici dall´Arpa, ha detto no a questa proposta che non avrebbe consentito all´Ilva di avere i tempi tecnici necessari per adeguare i propri impianti alla nuova normativa. Un artificio politico, mascherato sotto forma di emendamento ambientalista, con il quale l´opposizione ha celato il proprio imbarazzo. La legge che salva Taranto dai veleni non è stata votata dal resto del centrodestra perché non gradita al ministro per l´Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che nei mesi scorsi ha difeso a spada tratta le prerogative dell´Ilva.
"Norma a tutela della salute, dell´ambiente e del territorio: limiti alle emissioni in atmosfera di policlorodibenzodiossina e policlorodibenzofurani". Questo il titolo del provvedimento approvata ieri dalla Regione. Ma a dispetto di questa lunga intestazione, la legge regionale, redatta dall´assessore all´Ambiente Michele Losappio, con il supporto tecnico dell´Arpa, è molto snella. Appena quattro articoli, ma - secondo il governo regionale - così forti da salvare Taranto dalla diossina e costringere l´Ilva, se inadempiente, a fermare il suo stabilimento. La legge obbliga il siderurgico di Taranto ad abbattere nel giro dei prossimi due anni le emissioni di diossina. In particolare il provvedimento impone al gruppo Riva due passaggi fondamentali: entro aprile del 2009, la concentrazione di veleni dovrà scendere sotto la soglia di 2,4 nanogrammi, una quota che l´Ilva, con i dovuti accorgimenti, sarebbe già in grado di rispettare già oggi. La seconda e ultima data chiave è quella del 31 dicembre 2010: nel giro dei prossimi due anni lo stabilimento siderurgico dovrà essere in grado di abbattere l´emissione della diossina e dei furani pericolosi per la salute umana al di sotto dei 0,4 nanogrammi, il limite imposto dal protocollo di Aarhus, la direttiva comunitaria mai recepita dall´Italia. Se lo stabilimento industriale del gruppo Riva non sarà in grado di rispettare queste soglie, e non dovesse riuscirci neanche entro due mesi dalla segnalazione di infrazione da parte dell´Arpa - la nuove legge darà la possibilità alla Regione di sospendere l´attività produttiva dell´Ilva."Adesso che abbiamo messo al sicuro il futuro di Taranto- ha detto Vendola, rivolto ai consiglieri dei centrodestra - lavoriamo insieme perche il governo Berlusconi non ci neghi le risorse per bonificare dai fumi cancerogeni del passato la città". Approvata la legge che disinnesca l´Ilva, il governatore ha già indicato il prossimo obiettivo: "Salvare Brindisi dai veleni di Cerano".

Il Popolo delle primarie ha scelto ,è Florido il candidato Presidente


Florido doveva essere e Florido è stato. Il popolo delle primarie ha scelto e ha scelto il presidente della Provincia servendogli sul piatto l'80 per cento dei consensi rispetto allo sfidante. Franco Gentile, giovane segretario provinciale di Rifondazione comunista esce di scena con l'onore delle armi. Il suo tentativo di “rivoluzione Gentile”, come recitano i suoi manifesti elettorali, è stato bloccato sul nascere forse anche prima che nascesse. Troppo il divario tra i due contendenti. Ma che si è trattato di primarie vere, al contrario di quanti andavano asserendo nei giorni scorsi, i fedelissimi del Pd l'hanno capito subito dalle cifre. I 13mila che si sono recati nei 44 seggi allestiti a Taranto e provincia hanno rilasciato un certificato di autenticità all'evento che Donato Pentassuglia, segretario provinciale del Pd, si tiene stretto stretto. Tanto più che, dice dall'altro capo del telefono, «queste cifre sono state raggiunte nonostante le avverse condizioni climatiche. La gente - aggiunge – ha votato nonostante i tempi stretti che ci sono stati per l'organizzazione delle primarie e la poca pubblicità. Insomma, quella di oggi (ieri per chi legge, ndr) è stata una bella lezione per tutti noi». Ora, però, c'è da proseguire sulla strada della ricomposizione del centrosinistra. «Domani mattina (oggi per chi legge, ndr) incontrerò a Bari Nichi Vendola e Michele Emiliano i quali devono dire una parola chiara su tutta la faccenda», chiude la conversazione Pentassuglia. Alla fine della serata il contagiri dei votanti si è fermato a 13mila presenze con Florido che ha incassato l'80% dei consensi e Gentile il 20%. Tredicimila votanti, «il secondo miglior dato dopo le primarie che incoronarono Veltroni. Allora furono il 29mila a votare mentre per Prodi si mossero in 14mila e per Vendola- Boccia in 6mila», commenta Florido fino a qualche ora primasugli spalti del Pala Mazzola ha tifare per il Cras (vittoria trionfante su Schio), poi, con l'orecchio incollato alla radiolina per ascoltare la partita della sua Juve (altro trionfo, sul Milan). La terza soddisfazione personale la infila intorno alle dieci e mezza di sera quando i risultati gli danno il via libera alla ricandidatura alla presidenza della Provincia. A Mottola, invece, roccaforte di Franco Gentile (qui c'è stato il picco di affluenze come a Massafra mentre qualche problema si è registrato a Pulsano per antiche frizioni tra gli esponenti Pd e Borraccino) il segretario di Rifondazione non fa drammi. Anzi. «Il 20% dei consensi alla mia persona attestano che ci siamo anche noi, che la sinistra, visto il rapporto di forze in campo, è presente e che da questo dato dobbiamo ripartire», commenta Gentile. Adesso è tempo di pensare alla campagna elettorale. «Le primarie - sottolinea Gentile - non chiudono la porta in faccia al ricompattamento del centrosinistra. Fino a giugno ci sono i tempi e le modalità per centrare l'obiettivo».
PIERPAOLO D'AURIA 15/12/2008 Corriere del Giorno

martedì 16 dicembre 2008

Rinnovamento


Il risultato del voto in Abruzzo "evidenzia in modo nettissimo un malessere dei cittadini e dell'elettorato verso la politica e le istituzioni" che "colpisce fortissimamente il Pd che è nato per rinnovare il rapporto tra politica e cittadini e quindi ha suscitato maggiore delusione. Il risultato ci richiede di premere sull'acceleratore dell'innovazione". Goffredo Bettini, coordinatore politico delPd, sintetizza così la discussione avvenuta durante la riunione del coordinamento che si è svolta questa mattina alla Camera e che ha analizzato l'esito del voto in Abruzzo, dove ha vinto la destra."Il dato che colpisce di più - osserva Bettini – è l'astensionismo: ha votato il 30% in meno rispetto alle politiche e il 15% in meno rispetto alle ultime regionali”. Infatti molta gente ha deciso di non andare a votare, un astensionismo che colpisce tutti i partiti tranne Di Pietro, il Pdl ad esempio passa da 344mila voti a 190mila e il Pd da 277mila a 106mila, rispetto alle politiche. Siamo i più colpiti dal non voto "perché giustamente l'elettorato democratico è più esigente verso un partito che è nato per rinnovare la politica" nota Bettini."In Direzione questo dato ci spingerà a premere l'acceleratore su una fortissima innovazione che recuperi lo spirito e le speranza che abbiamo suscitato nella fase costituente".Insomma i risultati delle regionali in Abruzzo, dove le elezioni anticipate provocate dall'arresto del presidente della regione Ottaviano Del Turco vedono prevalere la destra in una competizione in cui quasi un abruzzese su due è rimasto a casa, devono spingere il Pd sulla strada del cambiamento. Ne è convinto il segretario del PD, Walter Veltroni, che ne ha parlato a poche ore dalla chiusura delle urne: "C'è malessere, stanchezza e critica, anche nei nostri confronti. Dobbiamo fare di più sulla strada della moralizzazione della vita pubblica e sulla questione etica. Bisogna intervenire con grande determinazione. Meglio pagare un prezzo elettorale subito ma garantire un futuro al riformismo e al Pd senza comprometterlo".Intervenendo all'assemblea dei circoli del Pd del Lazio Veltroni ha così commentato i dati che arrivavano dall'Abruzzo, sottolineando l'elemento più significativo di questa tornata elettorale: l'astensionismo, il vero vincitore nelle urne. "In base ai risultati dello spoglio, prima dei dati elettorali, sono i dati dell'astensionismo a essere impressionanti. C'è stato il 30 per cento in meno di votanti rispetto alle politiche (del 2008 ndr)".Le elezioni per il rinnovo della giunta regionale abruzzese e per la nomina del nuovo presidente della regione hanno visto infatti un calo di affluenza di proporzioni storiche. Gli abruzzesi che si sono recati alle urne sono stati infatti il 52.99%, il 15% in meno rispetto alle regionali del 2005, mentre alle politiche del 2008 l'affluenza si era assestata intorno al 80%. Un dato significativo per una regione e per un Paese in cui le percentuali di partecipazione sono da sempre tra le più alte del mondo. Una critica, come sostiene il segretario, rivolta anche al Pd. "Dobbiamo fare di più sulla questione etica. Ci sono situazioni nelle quali dobbiamo intervenire con durezza, dobbiamo essere severi con noi stessi, ed essere severi con gli altri".Anche Andrea Orlando, portavoce del Partito Democratico, in una nota diffusa a scrutinio ancora in corso, sottolinea come la vittoria del candidato del PdL "è il frutto di un clamoroso dato, quello di un'astensione di massa dal voto, piuttosto che di un travaso di voti dal centrosinistra alla destra. Molti cittadini, non partecipando al voto, hanno espresso una presa di distanza da una politica che in quella regione, anche per le note vicende giudiziarie, è apparsa lontana dalla gente. Il Partito Democratico è stato colpito più di altre forze politiche da questo malessere e ciò per noi sarà motivo di riflessione.Il Pd, infatti, è nato proprio per rinnovare la politica, l'azione di governo a tutti i livelli, le classi dirigenti. E questo voto ci impone di proseguire con più determinazione su questa strada di rinnovamento e di superamento di vecchie logiche e modi di fare politica".Sui temi dell'astensionismo e della questione morale è intervenuto anche Massimo D'Alema. "Quando la metà dei cittadini non va a votare è un problema che riguarda tutti. E' un dato molto preoccupante, che riflette anche lo specifico della vicenda abruzzese che ha determinato certamente un distacco tra cittadini e istituzioni, ma è anche un segnale di carattere più generale". Dichiarazioni in linea con quanto espresso anche dall'ex presidente del Senato Franco Marini: "L'astensione così larga è un problema politico per tutti. Deve essere un elemento di riflessione per chi vince e per chi perde" ha dichiarato Marini, mentre Giuseppe Fioroni, coordinatore dell'Organizzazione del Pd sottolinea la necessità della politica di recuperare autorevolezza. "Quasi metà degli aventi diritto non si sono recati alle urne: questo impone una profonda riflessione su come favorire la condivisione e la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. La giunta che si insedierà sarà stata scelta solo dal 53% dei cittadini, e questo succede quando la politica perde autorevolezza e non è più in grado di rappresentare gli interessi comuni", ha dichiarato l'esponente Pd.Intanto all'interno del partito ci si interroga sull'opportunità di rivedere il sistema delle alleanze. A far riflettere infatti è la differenza tra il sostegno ottenuto del candidato alla presidenza per il centrosinistra, rispetto ai voti ottenuti dalla coalizione. Come sottolineato da Giuseppe Fioroni, la "distanza tra la coalizione di centrodestra e quella di centrosinistra è solo del 3%. Il rammarico è che con l'Udc avremmo vinto". Della stessa opinione Paolo Fontanelli, responsabile Enti locali del PD. Che in una nota sottolinea come delle elezioni regionali abruzzesi emerge un dato evidente: la proposta del Partito Democratico di fare una grande coalizione in Abruzzo anche con l`Udc avrebbe portato il centrosinistra alla vittoria.Per Bettini "con Di Pietro abbiamo fatto in Abruzzo un'alleanza locale e determinatasi in una situazione di emergenza, quindi non e' ora di discutere se stiamo con Di Pietro o no, non abbiamo da rompere nulla perchè non abbiamo stabilito alcun matrimonio. Abbiamo chiarito con nettezza il tema delle alleanze, il Pd deve sviluppare in questo momento la proposta del Pd al paese. Le alleanze si faranno o si verificheranno anche con Di Pietro sulla base di convergenza e coesione programmatica". Certo è che "se Di Pietro avesse un po' meno personalizzato la campagna elettorale e avesse avuto più spirito di coalizione e puntato su temi come la crisi sociale, forse avremmo avuto un risultato migliore".L’arresto del segretario del PD abruzzese. “Non c'e' una questione morale attorno al Pd" e l'arresto del sindaco di Pescara e segretario regionale abruzzese, Luciano D'Alfonso, rientra tra i "casi giudiziari che considero individuali". Cosi' Goffredo Bettini, al termine del coordinamento del Pd con Walter Veltroni, riassume la posizione del partito sulla vicenda che ha portato ieri notte all'arresto di D'Alfonso."Si tratta di casi singoli da accertare -aggiunge- su cui saremo rigorisissimi ma sulla base della massima garanzia della presunta innocenza. Vanno evitati i polveroni, soprattutto se vengono da pulpiti poco credibili come quelli della destra italiana. Noi rispettiamo e abbiamo fiducia nel lavoro della magistratura. Un lavoro che va fatto nel massimo della discrezione, della velocità e della garanzia della presunta innocenza di chi è coinvolto in un'indagine". Il PD rifiuta di andare alla ricerca di “una regia occulta dietro gli arresti che colpiscono esponenti del Pd. C’è un'aggressione mediatica che punta a metterci sott'acqua e che provoca proteste assolutamente comprensibili come quelle del sindaco di Firenze. Ma i casi giudiziari sono individuali e noi, come sempre, rispettiamo il lavoro dei magistrati. Sono figlio – ha raccontato Bettini - di un avvocato penalista e ho massimo rispetto del lavoro dei magistrati ma noi dobbiamo distinguere il piano giudiziario e quello politico perché anche in assenza di problemi giudiziari siamo di fronte allo scadimento della qualità della politica, che ha preso troppa confidenza con altri poteri e pone una questione democratica che va affrontata".

domenica 14 dicembre 2008

IL CENTRO-SINISTRA DI PALAGIANELLO RISPETTA LE ASPETTATIVE

Anche se il tempo per l'organizzazione è stato pochissimo,le condizioni atmosferiche del tutto avverse,il centro-sinistra di palagianello onora l'appuntamento delle primarie.
hanno votato 310 cittadini che hanno espresso a larga maggioranza la voglia che il Presidente Florido sia riconfermato alla guida del governo provinciale.
I voti sono cosi stati distribuiti:
Florido 246
Gentile 52
Schede bianche 12
Si è rivisto un centro-sinistra in festa pronto a rispondere alla chiamata dei propri dirigenti ,e si è rivista anche la voglia e la combattività che è stata sempre l'arma vincente e la caratteristica intrinseca del nostro popolo.
Adesso è tempo di campagna elettorale.........buon lavoro a tutti.

venerdì 12 dicembre 2008

Epifani: sciopero riuscito, ora il governo ci convochi

Grandissima partecipazione non solo allo sciopero generale ma anche alle manifestazioni che si sono tenute in 108 città, indette dalla Cgil e alle quali hanno partecipato non soltanto i lavoratori del sindacato di Epifani ma anche i movimenti, gli studenti, i migranti. Tre grandi simboliche palle di neve con le scritte «Disoccupazione», «Rischio Povertà», «Precarietà» aprivano il grande corteo di Torino. Nel capoluogo piemontese sono scesi una quarantina di pullman provenienti da tutta la provincia. Secondo il sindacato l'adesione nelle aziende metalmeccaniche del torinese è stata dal 90% del Itca e della Teksid al 70% dell'Alenia, all'80% della Microtenica. Sempre secondo i sindacati l'adesione allo sciopero dei lavoratori di Palazzo Civico è del 40%, mentre tra quelli del mondo della scuola arriva al 45%. Si calcola che a Torino, come anche a Venezia, siano sfilate almeno 50mila persone al corteo indetto dalla Cgil.A Roma anche l’Onda si è mossa: da piazzale Aldo Moro, gli studenti hanno partecipato alla giornata di lotta con un loro corteo diretto al ministero dell’Istruzione su viale Trastevere. Studenti universitari e delle scuole superiori, docenti e genitori del coordinamento “Non rubateci il futuro”, anche bambini imbacuccati nelle mantelline impermeabili e militanti di Action. In testa al corteo uno striscione con la scritta «Contro tagli, precarietà e privatizzazioni l'Onda generalizza lo sciopero». Mentre al corteo della Cgil diretto al Colosseo hanno partecipato anche tanti partigiani dell'Anpi, della sezione «Marco Moscati» di Albano Laziale e Marino, il circolo Anpi «Donne di Casal Bertone nella Resistenza». Il gruppo più rumoroso, quello della Fillea di Roma e Lazio. Alcuni indossavano caschi gialli di protezione.«Più lavoro, più salario, più pensioni, più diritti»: lo striscione con lo slogan della giornata di lotta campeggiava alla testa del corteo di Napoli, con dietro le delegazioni dei lavoratori della Fiat di Pomigliano e di numerose aziende del settore metalmeccanico, edile, delle telecomunicazioni, del pubblico impiego.40mila persone hanno sfilato a Bari con il segretario confederale Fulvio Fammoni. Altre 40mila a Cagliari in uno dei cinque cortei a carattere regionale. Altri 40 mila a Firenze. A Genova 25mila e altrettanti sono stimati sempre dalla Cgil ad Ancona. In Sicilia si sono contate 15 mila presenze a Catania, dove il comizio è stato tenuto dalla segretaria confederale Paola Agnello Modica, e 30 mila a Palermo con la segretaria confederale Vera Lamonica. A Milano i manifestanti riempivano corso Venezia dall'angolo con via Palestro fino a Piazza Oberdan. La Cgil ha contato 80mila manifestanti. In testa al corteo c'è uno striscione con la scritta Camera del lavoro metropolitana di Milano, dietro al quale sfilano il segretario milanese Onorio Rosati e la segretaria nazionale Morena Piccinini. Poco più avanti c'è uno stendardo della federazione dei lavoratori della conoscenza – Flc Scuola università e ricerca. Tantissime a Milano le bandiere rosse del sindacato listate a lutto, per ricordare «la strage delle morti sul lavoro».Un episodio sgradevole alla fine del corteo milanese quando un gruppo di studenti incappucciati e con il volto coperto da sciarpe ha lanciato durante la manifestazione in corso a Milano, all'altezza di via Larga, all'angolo con via Pantano, della vernice colorata e un petardo verso le forze dell'ordine che bloccavano la strada per impedire al corteo di avvicinarsi ad Assolombarda.«Ogni passo indietro del Governo è un elemento positivo – ha detto il segretario confederale Morena Piccinini riferendosi al rallentamento della riforma della scuola - perché è il segno che la lotta paga. I risultati però non sono sufficienti perché la politica del Governo non è adeguata. Bisogna andare avanti e spingere per un'azione forte contro la crisi». Rosati ha ricordato che a Milano la crisi è molto pesante. «A Milano e Provincia - ha concluso Rosati -abbiamo sentito duecentomila persone tra lavoratori e pensionati.Siamo il punto di riferimento di un disagio sociale profondo». Il sindacalista ha stigmatizzato, in particolare, l'atteggiamento assente del Comune di Milano nel fronteggiare la congiuntura economica. Per questo la Cgil chiederà anche all'amministrazione comunale oltre che alla Provincia e alla Regione Lombardia, l'apertura di un tavolo comune anticrisi.Ed è un po’ la stessa cosa che chiede Guglielmo Epifani al governo e a Confidustria: una cabina di regia comune per discutere come affrontare la crisi. «Sul modello contrattuale e sul testo unico sulla sicurezza ci sono delle forti divergenze – ha spiegato il segretario generale in una intervista -, cominciamo con il sederci insieme a un tavolo sulla crisi». E ha ripetuto in interviste radio e tv di venerdì mattina: «Lo sciopero è un mezzo per raggiungere degli obiettivi e mai un fine. Gli obiettivi sono di chiedere al governo di affrontare la crisi e di intervenire come stanno facendo gli altri governi europei. Se la crisi è eccezionale non si può affrontare con poche risorse. Perchè la francia sostiene gli investimenti, l'Inghilterra i consumi e noi non facciamo niente ?». La crisi è «eccezionale», sta avendo «effetti molto pesanti sull'occupazione, sui giovani precari, sulla vita delle imprese, sui redditi dei dipendenti e dei pensionati», allora- chiede Epifani -«perchè il governo non apre un tavolo con il sindacato e con Confindustria per affrontare insieme i nodi strategici», «di cosa ha paura?».Epifani ha partecipato al principale dei tre cortei di Bologna che si è mosso intorno alle 10 da Piazza XX Settembre per risalire il centro lungo via Indipendenza, mentre gli altri due, uno da Piazza Carducci e l'altro da Piazza San Felice, si incontrano in Piazza Maggiore. Tra gli striscioni e le bandiere del sindacato, anche tre statue di cartapesta che riproducono Berlusconi, la Gelmini e Brunetta. E i manifestanti, che anche qui sfilano sotto la pioggia, intona «Bella Ciao». Il segretario della Cisl Raffaele Bonanni ancora venerdì, il giorno dello sciopero generale della Cgil, è tornato a polemizzare sulla bontà della protesta, definendola – sul sito ilsussidiario.net. - «uno sciopero generale che non aiuta i lavoratori, non serve ad impostare una seria politica contro la crisi economica, accentua le divisioni anzichè favorire la convergenza di tutto il sindacalismo confederale attorno ad una politica riformista e di sviluppo». «A Cisl e Uil non ho niente da dire ma mi rammarico che non siamo insieme perchè le ragioni di questo sciopero sono sacrosante», gli ha risposto Epifani dalla manifestazione di Bologna.«I primi dati dello sciopero sono molto buoni e confortanti», ha detto poi il segretario della Cgil «soprattutto nelle fabbriche del Nord e questo dà ragione alla domanda di cambiamento della politica del governo».Anche l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, in un'intervista a Il Giornale, ha rettificato l’iniziale critica allo sciopero generale della sola Cgil. «Se è inefficace - dice ora Damiano - non può essere dannoso, gli scioperi hanno un significato di mobilitazione delle coscienze, di segnalazione dei problemi». Sul fatto che ai cortei non parteciperanno molti esponenti del Pd e sullo stato attuale del partito, l'ex ministro Damiano dice: «Al momento convivono opinioni anche diverse, sarebbe auspicabile che il Pd avesse delle sedi di confronto capaci di portare a sintesi opinioni diverse».